Riprendiamo, per gentile concessione, l'intervista di www.vigilanzaprivataonline.com all'Avv. Paolo Baldazzi (Responsabile del Settore Lavoro, Contrattazione e Relazioni Sindacali in Confcommercio)
Dal suo osservatorio privilegiato, quali sono stati i problemi principali legati alla cassa integrazione in deroga?
La reintroduzione della cassa in deroga (CIGD) nella fase emergenziale ha mostrato tutti i limiti di una burocrazia centrale e decentrata impreparata ad agire per l’immediato, a partire dalle 20 diverse regolamentazioni regionali, che discendono da altrettanti accordi quadro, che hanno provocato non poche problematiche operative soprattutto per le imprese che, avendo sedi dislocate in più regioni, si sono trovate a dover applicare regole diverse a seconda del contesto territoriale di riferimento.
Qual è la situazione attuale, anche alla luce degli ultimi chiarimenti del Ministero del Lavoro?
La situazione attuale prevede, in ordine ai limiti massimi di durata del trattamento di CIGD previsto dalla normativa emergenziale, l’art. 22 del D.L. n. 18/2020, così come modificato dall’art. 70, comma 1, lettera a), D.L. n. 34/2020, al comma 1 il riconoscimento dei trattamenti di CIGD per una durata massima di 9 settimane per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, incrementate di ulteriori 5 settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro ai quali sia stato interamente già autorizzato un periodo di nove settimane. Come precisato nel messaggio Inps n. 2489/2020 e, da ultimo, nel Decreto Interministeriale n. 9/2020 e nella relativa circolare di commento a firma del Ministero del Lavoro n. 11/2020, affinché le 9 settimane possano essere incrementate delle ulteriori 5 occorre che il datore di lavoro sia stato precedentemente autorizzato per le prime 9 settimane, a prescindere dall’effettivo utilizzo dell’ammortizzatore autorizzato.
Sempre ai sensi del predetto art. 22, è altresì riconosciuto un eventuale ulteriore periodo di durata massima di 4 settimane di trattamento per periodi decorrenti dal 1° settembre 2020 al 31 ottobre 2020 e limitatamente ai datori di lavoro che abbiano interamente fruito il periodo massimo di 14 settimane. Pertanto, esclusivamente per i datori di lavoro che abbiano interamente fruito del periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di 14 settimane (9 + 5), è possibile usufruire delle predette 4 settimane.
Qual è quindi il criterio per l’accesso alle ulteriori settimane richiedibili?
Risulta chiaro che, nell’ambito della CIGD, con riferimento alle nove settimane, il criterio per l’accesso alle ulteriori 5 settimane richiedibili nei confronti dell’Inps sia la mera autorizzazione concessa dalle Regioni/Province autonome o dal Ministero del lavoro per l’intero periodo precedente pari a 9 settimane, a prescindere dall’effettivo utilizzo delle stesse.
Al contrario, con riferimento all’ultimo periodo di 4 settimane di CIGD, la disciplina normativa sembra prevedere un criterio diverso e del tutto analogo a quello vigente per la Cassa integrazione ordinaria e per l’Assegno ordinario di cui all’art. 19 del D.L. n. 18/2020, ovverosia del fruìto.
Quali nodi restano ancora da sciogliere?
A fronte del quadro normativo riportato, per una logica sistematica e di coerenza di tutti gli ammortizzatori sociali emergenziali, si rileva la necessità, e su questo si auspicano posizionamenti ministeriali, di prevedere un sistema di gestione e di computo dei giorni residui relativi alle prime 9 settimane di CIGD non ancora utilizzati per completare la fruizione delle settimane già autorizzate – come previsto per CIGO e Assegno ordinario – al fine di evitare preclusioni per la richiesta delle ulteriori 4 settimane, la cui concessione è subordinata all’integrale fruizione del periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di 14 settimane.
Parliamo adesso di quarantena o permanenza domiciliare: è o non è malattia? Qual è il trattamento economico previsto?
Il comma 1 dell’articolo 26 del decreto legge 18/2020, come modificato dalla legge di conversione n. 27/2020, introduce una nuova tutela per la quarantena e per la permanenza domiciliare con sorveglianza attiva disposta dall’operatore sanitario da equiparare alla malattia “ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento”. L’espressione usata dal legislatore fa emergere la totale applicazione delle disposizioni afferenti alla tutela previdenziale Inps della malattia per i soggetti che ne hanno diritto, anche per quanto attiene alla durata massima del periodo indennizzabile. Conseguentemente, anche l’indennità economica a carico datore di lavoro seguirà le regole ordinarie definite dal CCNL per le ipotesi di malattia.
E’ intaccato il periodo di comporto?
Il medesimo comma 1 precisa che il periodo di quarantena e di permanenza domiciliare non viene computato nel periodo di comporto. L’intento della norma è quello di tutelare espressamente il lavoratore dal rischio di un eventuale licenziamento, senza con ciò modificare la normativa previdenziale e contrattuale applicabile.
Che tipo di certificazione deve produrre il lavoratore?
La certificazione medica da produrre viene ben specificata nel messaggio INPS n. 2584/2020. Il lavoratore deve produrre il certificato di malattia in modalità telematica attestante il periodo di quarantena nel quale il medico curante dovrà indicare gli estremi del provvedimento emesso dall’operatore di sanità pubblica. Qualora al momento del rilascio del certificato il medico non disponga delle informazioni relative al provvedimento, queste verranno acquisite direttamente dal lavoratore interessato presso l’operatore di sanità pubblica e comunicate successivamente all’Inps.
L’autunno è visto con timore per la probabile cessazione degli ammortizzatori sociali e del blocco dei licenziamenti. A suo avviso, quale scenario si prospetta realisticamente? E’ immaginabile un’ulteriore proroga fino a fine anno?
La proroga dipenderà dalla disponibilità di risorse, è chiaro. Si dovrà attingere al Fondo Europeo “Sure” per far fronte al fabbisogno finanziario per sostenere la coesistenza di ammortizzatori e divieto di licenziamento nei mesi a venire, onde evitare una preoccupante deflagrazione sociale. Non dipenderà però solo dagli ammortizzatori in sé, poiché non dobbiamo dimenticare che gli strumenti COVID non hanno natura “ordinaria”, ma dalle finalità che vorrà porsi il Governo in generale, che dovranno essere ben lontane da politiche meramente assistenziali. Su questo, l’emanando Decreto Semplificazioni, benché non contenga misure lavoristiche, può rappresentare il giusto volàno (si pensi ad es. alle semplificazioni in ambito appalti pubblici).
Cosa chiede Confcommercio al Governo per aiutare le imprese e i lavoratori?
In tema di ammortizzatori, il Ministro ha annunciato l’istituzione di una Commissione volta ad una riforma strutturale degli stessi, facendo tesoro di forze e, soprattutto, debolezze della normativa vigente, emerse durante la fase emergenziale. Confcommercio ha dato ovviamente la propria disponibilità ad un fattivo contributo che tenga conto, in primis, delle politiche attive sul lavoro per una ripresa qualitativa e quantitativa dell’occupazione attraverso la rivitalizzazione strumenti quali ad esempio l’assegno di ricollocazione, introdotto anch’esso dal Jobs Act (art. 23, d.lgs. n. 150/2015) e fonte di collegamento tra mondo del lavoro e formazione e il Fondo nuove competenze di cui all’art. 88 del DL “Rilancio”. Tuttavia il tentativo può e deve essere migliorato, da una parte accantonando il tema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, dall’altro mettendo al centro ed in via esclusiva i Fondi Interprofessionali per la Formazione Continua, già strutturati e pronti alle esigenze del futuro.