Come far sì che le stazioni appaltanti accettino una revisione dei prezzi, visto che il costo del lavoro è aumentato sensibilmente? L’avvocato Massimiliano Brugnoletti (Studio legale Brugnoletti e associati esercenti in Roma-Milano), consulente di UNIV, suggerisce di utilizzare la rinegoziazione prevista dall’art 9 del nuovo codice appalti
Riportiamo di seguito l'intervista all'avv. Brugnoletti pubblicata su www.univigilanza.it
L’ipotesi di rinnovo contrattuale del 16/02/2024 è diventata effettiva. Le imprese cercano di revisionare i prezzi già concordati, con scarso successo. Tra l’altro, se il cliente non accetta l’adeguamento, le imprese non possono nemmeno recedere dal contratto senza pagare penali...
Viviamo certamente una situazione congiunturale difficilissima, sia per il settore dei servizi fiduciari e di vigilanza, sia in generale per gli appalti pubblici. In verità tutto il settore pubblico ha subito un importante incremento dei costi dal 2020 in ragione di due fattori imprevedibili: la pandemia ed i conflitti armati hanno sconvolto la struttura dei costi delle imprese, con una progressione dei prezzi non più fluida. Questo comporta che anche la “classica” revisione dei prezzi, che per decenni è stata la sostanziale risposta all’aumentare progressivo dei costi, non può soddisfare lo “scatto in avanti”, deciso ed inaspettato, che hanno avuto tutte le spese.
La situazione si aggrava per le imprese del settore fiduciario e di vigilanza, sia perché il precedente CCNL (scaduto da 7 anni) era ancorato ad una situazione economica del tutto diversa da quella attuale, sia per i noti interventi della Procura di Milano: la somma di questi fattori ha portato ad un rinnovo che incide in maniera importante sul costo della manodopera e che impatta sui contratti pubblici per offerte elaborate prima del rinnovo. Certamente urge una modifica decisa dei corrispettivi - soluzione senz’altro più utile della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità.
Si può utilizzare l’art. 60 del nuovo codice appalti che prevede la revisione dei prezzi?
Non credo che l’art. 60 del d.lgs. n. 36 del 2023, che è la norma sulla revisione dei prezzi, possa soddisfare le imprese appaltatrici che eseguono i servizi con tariffe assolutamente sproporzionate al “nuovo” costo del lavoro. Questo per due ordini di ragioni.
La prima ragione è formale: il nuovo codice, quindi l’art. 60, può essere invocato solo per i contratti i cui bandi sono stati pubblicati da luglio 2023 (in alternativa si potrebbe invocare il DL n. 4 del 2022, che ha introdotto la revisione, ma solo dal gennaio 2022), mentre la maggior parte dei contratti in difficoltà è ancora regolato dal d.lgs. n. 50 nel 2016, che non prevede la revisione prezzi, salvo il caso che la stazione appaltante l’avesse già prevista nel bando.
La seconda ragione è sostanziale: ritengo che la revisione del prezzo (ossia l’adeguamento del corrispettivo in relazione all’andamento degli indici ISTAT) non possa soddisfare l’aumento drastico del costo della manodopera avvenuto nel settore dei servizi fiduciari e di vigilanza: la “revisione prezzi” risponde infatti all’esigenza di compensare l’aumento progressivo (lineare e, normalmente, contenuto) della struttura dei costi dell’appalto. Con la revisione, il corrispettivo aumenta sostanzialmente in ragione del costo della vita (si tenga conto che, dopo il biennio 2022/2023, l’inflazione si è ormai attestata sotto i 2 punti percentuali), normalmente proporzionale all’aumento dei costi dell’appalto.
E allora che si fa?
Credo che, per far fronte all’incremento dei costi della manodopera ed adeguare le tariffe di aggiudicazione, possa essere una grande opportunità l’articolo 9 del nuovo codice dei contratti pubblici, che risponde all’esigenza di compensare costi aumentati in modo “imprevedibile”.
L’art. 9 introduce infatti il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale, ossia: in caso di eventi imprevedibili, la parte svantaggiata ha diritto alla rinegoziazione. Tale principio è una delle naturali declinazioni dell’impostazione del nuovo codice dei contratti, che ha una visione totalmente nuova degli appalti pubblici: il d.lgs. n. 36 del 2023 ha infatti recepito le stesse direttive del 2014 già recepite dal codice del 2016; ma, mentre il d.lgs n. 50 nel 2016 ha declinato le direttive con l’ottica della “legalità” e del contrasto alla corruzione (d’altra parte, nel 2016 eravamo nel pieno degli scandali di Mafia Capitale e di Expo 2018, con Cantone a capo dell’ANAC), il d.lgs. n. 36 del 2023 ha recepito le medesime direttive nell’ottica dell’aiutare la ripresa economica dopo la pandemia e nel pieno dei conflitti armati. Il nuovo codice è in sostanza orientato a far ripartire l’economia utilizzando la leva degli appalti pubblici - vero volàno per la ripresa, dal momento che rappresenta il 20% del PIL. In tal senso è emblematico l’incipit dell’art. 1 del nuovo codice, che pone l’obiettivo alle stazioni appaltanti e agli operatori economici di tendere al “risultato”, ossia l’esecuzione del contratto (l’esatto contrario della risoluzione per eccessività dei costi).
Qual è il nesso tra l’art. 9 (compensazione dei costi aumentati in modo imprevedibile) e il principio del risultato?
L’art. 9 è una delle più concrete declinazioni del principio del risultato: se c’è un contratto pubblico in difficoltà, l’obiettivo non è quello di risolverlo, ma quello di “conservarlo” mediante la rinegoziazione tra le parti. L’articolo 9 regola un istituto totalmente diverso dalla revisione del prezzo: mentre la revisione prevede l’aumento del corrispettivo in dipendenza dell’aumento (più o meno costante) dell’indice Istat, la rinegoziazione prevista dall’art. 9 risponde all’esigenza di far fronte a fatti imprevisti che determinano la variazione eccezionale delle condizioni contrattuali, con una “negoziazione “concreta” finalizzata a verificare i nuovo costi sostenuti dall’impresa, prescindendo da indici ISTAT.
Ma si può ritenere “imprevedibile” un rinnovo contrattuale che si attendeva da 8 anni?
Vero che il rinnovo del contratto collettivo scaduto da molti anni non possa ragionevolmente rientrare nel perimetro dell’imprevedibilità; tuttavia in tale perimetro credo possa rientrare il “quantum” dell’aumento dei costi della manodopera, non solo perché gli stessi hanno risentito dei fatti eccezionali ed imprevedibili della pandemia e dei conflitti, ma anche perché gli stessi sono aumentati sotto la spinta delle note indagini giudiziarie che hanno investito le principali realtà del comparto.
Come mai nessuno parla di questo principio? E in quanto “principio”, è cogente come la norma di legge o è una mera raccomandazione, come le linee Guida ANAC per intenderci?
E’ cogente, è un Decreto Legislativo. Nessuno ne parla perché è un articolo che pochi hanno “compreso”, anche perché la maggior parte degli operatori, pubblici e privati, è storicamente legata al concetto di revisione dei prezzi e perché non tutti hanno ancora colto il rivoluzionario impatto dei due pilastri del nuovo codice. Mi riferisco al già menzionato principio del risultato (art. 1) e del principio della reciproca fiducia (art. 2), i due fari che illuminano la rinegoziazione prevista dall’art. 9, il cui aspetto innovativo è anche dato dal fatto che, se non vi sono risorse economiche sufficienti a compensare i costi, invita le parti a modificare il contratto, dando anche la possibilità di offrire servizi aggiuntivi.
Ma come la revisione del prezzi dell’art. 60, anche la rinegoziazione dell’art. 9 non potrà essere invocata per i contratti pubblicati prima di luglio 2023...
Invece no: mentre l’art. 60 non è applicabile ai contratti banditi prima del 1° luglio 2023, l’art. 9, essendo un “principio” e non una norma di dettaglio, può essere utilizzato anche per i contratti in corso - posizione espressa dai più attenti interpreti e soprattutto fatta propria dal Consiglio di Stato, che in alcune pronunce richiama i principi del nuovo codice anche per contratti regolati dal precedente.